La Parola Ritrovata

el terzo grado della tradizione muratoria viene vissuto il dramma della irrimediabile perdita dei segreti connessi alla costruzione sacra. Segreti che sono da una parte costruttivi ma dall’altra sono iniziatici e interiori.

Nel grado dell’Arco Reale di Gerusalemme tutto gira intorno al concetto del ritrovamento di quei segreti, di quella iniziazione o quelle iniziazioni perdute.

Il mito della parola perduta nasce dalla tradizione rosacruciana, secondo cui ogni maestro rosacroce doveva scegliere un discepolo da istruire, a cui in punto di morte doveva sillabare all’orecchio le istruzioni conclusive della “Grande Opera”. Cosa avrebbe potuto sillabare all’orecchio del discepolo un anziano maestro in punto di morte non lo sappiamo, ma nel rispetto di questa tradizione ancora oggi gli apprendisti in primo grado ricevono e danno comunicazioni sillabando all’orecchio.

Nella elaborazione del grado, per creare una struttura allegorica in grado di trasmettere l’insegnamento iniziatico tra le pieghe di un rituale, gli antichi estensori si sono serviti di una tradizione molto diffusa nelle culture antiche, quello del ritrovamento della cripta, all’interno della quale si trova il segreto perduto.

La leggenda che fa da sfondo al racconto tradizionale è molto antica, e ne citerò alcune per segnalare le similitudini. La prima tradizione, la più antica, è caldea e racconta di tre viaggiatori, un’anziano e due giovani, che viaggiano nel deserto alla ricerca delle rovine di un tempio di un era perduta. I tre trovano il tempio, di cui pian piano scoprono i segreti. Si trovano alla fine davanti alla porta del sancta santorum ma per quanti sforzi facciano non riescono ad entrare. Solo quando uno dei giovani esasperato dice, ad alta voce, che non possono provare all’infinito al suono della parola infinito, in questo caso “en-suf” (che è uno dei nomi), la porta si apre sotto la spinta di un vento fortissimo che quasi li travolge. All’interno possono scorgere l’altare e alcuni dei nomi divini ma a malincuore sono costretti a chiudere la porta e il vento impetuoso cessa.

La seconda tradizione è proto-ebraica e fa riferimento al “Libro di Enoch”. Si tratta di una serie di visioni avute dal profeta e che vengono considerate un prototipo della tradizione Muratoria e dell’Arco Reale. Si racconta che in una visione, l’Altissimo abbia mostrato a Enoch nove soffitti a volta. Con l’aiuto di suo figlio Matusalemme, Enoch si é dedicato ad erigere, nel cuore della montagna di Caana, un santuario segreto di cui aveva veduto il progetto, con le volte una al di sotto dell’altra. Nella nona, la più bassa, Enoch collocò un triangolo di oro puro, sul quale aveva inciso ciò che presumibilmente era il cuore, l’essenza e il centro della Tradizione Sacra, il Vero Nome di Dio. Enoch era il nonno di Noè e aveva fatto quest’opera perché aveva avuto una visione dove la terra sarebbe stata spazzata via da un grande cataclisma.

La versione cristiana è scritta in greco risale al quarto secolo. La scrive Filostorgio, storico cristiano seguace di Ario nella sua “Storia Ecclesiastica”:

“Quando Giuliano l’Apostata, ordinò di ricostruire la città di Gerusalemme, durante la preparazione delle fondamenta, una delle pietre che era stata posta nella parte più bassa della base uscì improvvisamente dal suo posto e aprì l’entrata di una caverna scavata nella roccia. A causa della profondità era difficile vedere cosa vi fosse dentro questa caverna; così alcuni essendo ansiosi di scoprire la verità calarono giù con una fune uno dei loro operai. Questi una volta sceso trovò acqua stagnante fino all’altezza delle ginocchia e constatò che la grotta era un quadrato perfetto. al centro una colonna e su di essa vi era un libro avvolto in un telo di lino. Lo prese e fece un segnale ai suoi compagni perché lo tirassero sù. Tornato alla luce mostrò loro il trofeo ed essi rimasero molto sorpresi, perché aveva un buon aspetto ed era in perfetto stato di conservazione, nonostante il luogo dove era stato trovato. Questo libro, che appariva un potente prodigio sia agli occhi dei pagani che degli ebrei, appena aperto mostrò le seguenti parole, scritte a grandi lettere: All’inizio era il Verbo, il Verbo era con Dio, il Verbo era Dio”. Infatti il volume era il Vangelo di Giovanni.

Questi tre racconti hanno ognuno qualcosa del rituale dell’Arco Reale di Gerusalemme ma come sempre in massoneria l’insegnamento è velato di allegorie. Quello che viene indicato è l’inizio di un viaggio interiore, che come quello di Dante, ma prima di lui di Virgilio, ci porterà ad entrare nella nostra interiorità più profonda, a entrare negli inferi e ad arrivare alla fine al paradiso per ritrovare quello che si era perso e  poter reintegrare  e ricostruire il nostro essere con quelle parti che sono andate perdute.

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